“Che valore ha oggi il ritratto fotografico d’artista nell’epoca del digitale e dei social network in cui tutti diventano ritrattisti “fai-da-te”?
La “facilità tecnica” con cui le nuove tecnologie (foto e videocamere HD, smartphones, webcams) consentono di ritrarre se stessi e gli altri in tempo reale ha portato in poco tempo all’incremento della fotografia amatoriale in cui la costante delle pose, delle inquadrature, dei comportamenti genera una tassonomia dell’indistinto e dell’indifferenziato che tende ad omologare la rappresentazione dell’identità.
Lo sviluppo del digitale contribuisce in larga misura alla profusione di un’immaginario sociale in cui l’identità personale e la percezione di sé vacillano tra demoltiplicazione della propria immagine e culto ipertrofico del narcisismo, fluttuando in una instabilità dei confini corporei e psicologici e nell’esaltazione della propria immagine pubblica.
Non solo, questo nuovo fenomeno di self-mirroring genera una “comodità” tutta sociale di costruzione della propria identità fondata sullo sguardo degli altri – e non generata attraverso un processo di consapevolezza – che diviene l’ancora esterna per la soggettività.
L’arte fotografica di Mirco Basso è stato e luogo dell’anima. Seguendo ispirazione e slancio emotivo, il suo obiettivo si fa medium affettivo dell’evento, cogliendo e fermando l’immagine immediata, quell’“attimo fuggente” che il suo occhio curioso e sensibile immortala grazie a macchine fotografiche che per lungo tempo sono state rigorosamente manuali e meccaniche. Da trent’anni, infatti, la fotocamera è sua “appendice naturale”, indispensabile strumento per cogliere l’irripetibile “momento epifanico” che il mondo circostante gli regala. Amando profondamente il jazz, l’artista definisce il suo stile “Visual Jazz” per l’equilibrato mix di tecnica ed improvvisazione che lo contraddistingue. Soffermandosi ad indagare le realtà a lui più intimamente e professionalmente vicine, Mirco Basso si fa apprezzare per la passione, la schiettezza e la sincerità che infonde nei suoi scatti, siano essi attinenti a lavori su commissione o germinati da una personale esigenza di espressione artistica. Determinato a non lasciarsi travolgere dall’ammiccante facilità del digitale, fino a tempi recenti, ha ostinatamente prediletto la seducente tattilità della pellicola e il fascino trepidante dell’attesa che la contraddistingueva. Egli semplicemente vede con la sua macchina fotografica, memore e forte dell’esperienza del metodo tradizionale che non ammetteva errori e che esigeva chiarezza di idee quanto all’ottica e al taglio da impostare, velocità nella messa a fuoco e nella regolarizzazione di diaframma e tempi di esposizione. Rivoluzionario nei controluce. Le sue foto, dal “timbro evanescente e musicale”, si oppongono alla miope fugacità dell’osservazione contemporanea ed ammaliano per il forte potere evocativo e per la sapienza compositiva che, offrendo una mappatura emozionale del reale, risultano capaci di addentrarsi nel variegato e complesso linguaggio dell’Arte Contemporanea. (Testo critico di Simona Clementoni)
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